sabato 16 maggio 2020

Quel pezzo di terra che ho l’onore di provare a coltivare (2020):

La mia storia inizia il 16 maggio.

Senza avere le idee del tutto chiare, ho provato a seminare qualche piantina, mettendo in contro che la percentuale di fallimento avrebbe potuto essere elevata.


Semina / trapianto:

Piselli e cipollotti erano già pronti, seminati in inverno, prima del lockdown, e lasciati in eredità (grazie!). Idem la verza, che sta maturando senza fretta.
A maggio ho trapiantato salanova riccia e diversi tipi di pomodori (sia nani che non).
La zucca, alcuni semi per tipo, è stata seminata a metà luglio (ma quelli più esperti di me dicono sia già un po’ troppo tardi).
A settembre, quando diminuirà appena il caldo, sarà il momento degli spinaci.
 

Cura:

nessuna cura intensiva, zappettatura e sarchiatura delle erbacce costanti, irrigazione secondo necessità – non troppa, tranne nelle prime fasi, fino a quando le piantine non si sono ben rinforzate e integrate. Un  trattamento dei pomodori con verderame, prima che fiorissero.
Il resto è affetto quotidiano, che forse, come in giardino coi fiori, è quello che paga, a voler essere un po’ meno materialisti di quel che questo mondo storto ci chiede, no?
 

Raccolta:

piselli e cipollotti, già pronti, sono stati da subito raccolti e stoccati per i mesi successivi.
Le fragole rifiorenti avevano fatto tutto da sole, merenda dolce e rossa tra un lavoro e l’altro. Praticamente non ne è mai arrivata una a casa…
Dopo circa un mese abbiamo iniziato a mangiare la salanova, che ci ha accompagnato croccante fino ai primi di luglio.
Quando è entrato in scena messer pomodoro in tutte le sue sfaccettature. Complice la fortuna del principiante, tutti i pomodori stanno crescendo felici.
E noi con loro.
 

Ora, non resta che attendere fiduciosi il boom dei pomodori (se arriverà, speriamo...).

E poi, l’autunno.

Perché uno dei primi insegnamenti dell’orto è proprio questo: la pazienza, perché la natura ha i propri tempi e ogni stagione la propria attività.
Non gli importa nulla della nostra fretta da umani del secondo millennio.
Il sole sorge e tramonta, le nuvole passano e vanno e, quando decidono, lasciano cadere qualche lacrima o pianti a dirotto.
Le radici si aggrappano invisibili alla terra. Le nutriamo sulla fiducia.
Quel che vediamo, dopo, sono fusti, foglie, fiori che pian piano crescono. E i frutti che sbucano, come una bella sorpresa inaspettata che fa esclamare: oh, guarda - e che impedisce di trattenere un sorriso.
Solo il tramonto che ha finito di allungare le sue ombre e il cielo che si arrossa ricordano che il tempo scandito dall’orologio sta scadendo ed è ormai ora di tornare a casa.
Con quel sorriso un po’ ebete stampato in volto e la testa vuota.

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